metafore animali e scienza di polizia

A grande richiesta pubblico questo interessante articolo sulla rappresentazione mediatica del disagio (i fatti sono riferiti sempre alla città di livorno, ma, dati gli ultimi avvenimenti, se ne possono trarre conclusioni di carattere piu generale)

si ringrazia ancora una volta la redazione di Senza Soste per la disponibilta' dell'articolo 
 

Di Ivano Scacciarli

La riduzione del collettivo a canaglia, del comportamento delle persone a quello degli animali da serraglio sta nel bagaglio metaforico tipico della stampa francese dell'ottocento.

L'emergere delle masse nella società ottocentesca ha sempre comportato problemi di comprensione immediata tanto più in una società, come quella francese, che appena prima del XIX secolo aveva sperimentato l'irruzione delle masse come problema di potere sovrano dalla presa della Bastiglia fino al Termidoro. Qualche decennio dopo il 1789 il problema della massa, del collettivo per la stampa francese della terza repubblica non è più quello di un legittimo potere politico ma di una forza animalesca ed istintiva da impaurire per controllare, da catalogare per reprimere. D’altronde la letteratura maggiore cavalcherà sul piano teorico il terrore per le masse lungo tutta la seconda metà dell’ottocento e per buona parte del novecento.

Fioriscono allora sulla stampa le metafore bestiali per descrivere il comportamento della folla e la descrizione in termini animaleschi dei soggetti si accompagna immediatamente alla richiesta dell'intervento di polizia o della soluzione militare. La forza di questa richiesta non sta nell'argomentazione ma nell'emozione suscitata dalla forza della metafora animale. E questo avviene perchè l' emozione deve suscitare a sua volta una richiesta di forza, quella securitaria, l'unica vista come in grado di controllare gli istinti ferini della massa per la quale la politica è vista come incomprensibile e nei confronti della quale il potere della norma e della morale risultano inefficaci.

 

Questa classificazione dei comportamenti di massa in termini bestiali è riemersa in Francia durante la rivolta delle banlieue. D'altronde se il ministro degli interni francese rispolvera l'ottocentesco termine di "canaglia" per chi protesta allora la stampa, la tv e i siti mainstream su Internet si sentono legittimati ad esprimersi in termini di produzione di metafore animali.

I fatti di Piazza Attias a Livorno, una contrapposizione tra tre carabinieri e qualche decina di ragazzi sfociata in un pesante confronto diretto tra i due schieramenti finito sui media nazionali, ci mostrano come quest'uso intensivo della metafora animale nella rappresentazione dei comportamenti collettivi sia di nuovo profondamente penetrata nell'armamentario espressivo della stampa, in questo caso italiana, di inizio XXI secolo come nei suoi forum Internet di riferimento e nelle citazioni Tv di questi problemi. E questo avviene generando lo stesso tipo di emotività prodotta dalla stampa francese dell'ottocento scatenando quindi immediate richieste di intervento securitario oggi quanto più tecnologico tanto più visto come risolutivo. Giova ricordare come il potere politico istituzionale del territorio, e stiamo qui parlando del centrosinistra di una città tradizionalmente libertaria non della filiazione toscana del partito di Haider, non solo non mette in discussione questa produzione di metafore ferine atte a suggerire misure di controllo senza vincoli ma finisce per servirsene direttamente.

In questo scenario risulta persino divertente vedere un esponente della sinistra (!) Ds, capogruppo

in consiglio comunale, affermare che di fronte a fatti del genere non è l'ora della sociologia ma dell'azione. Questa visione della sociologia come palude della prassi, quando mai bizzarra in chiunque si sia avventurato oltre la decima pagina di un manuale della materia in questione, rivela una concezione della politica ormai esclusivamente in feed-back con le metafore del bestiale presenti nei media. L'una legittima l'altra: in questo modo i media alzano audience e tiratura, visto che le rappresentazioni del dolore e della paura nel televisivo focolare domestico moltiplicano la necessità del consumo del prodotto mediatico per la sublimazione delle pulsioni irrisolte, e il ceto politico si libera della necessità di rivolgersi ad una disciplina, la sociologia, che nasce per risolvere come problema di governo la storica cesura tra stato e società nel tentativo di formalizzare categorie di pensiero per l'amministrazione atte a sviluppare il legame sociale. E qui il problema politico è evidente: le amministrazioni locali, una consolidata rete territoriale di interessi e business ben lontana dall'avvicinarsi al mito del "municipio" autoprodotto dalla cultura arcobaleno dei social forum, non hanno più bisogno di una "sociologia" dopo la fine delle organizzazioni politiche di massa del dopoguerra, nella fase di transizione del legame sociale collettivo consolidato, dopo la ristrutturazione dei nessi organizzativi dovuta alle politiche liberiste e di bilancio. Il sapere sociologico è visto non come disciplina di governo ma come terreno di giustificazione dei comportamenti sociali che impedisce, sul piano delle argomentazioni, il pieno dispiegamento dell'unica risposta richiesta alla politica nel processo di feed-back permanente e reciprocamente legittimante tra media e amministrazioni locali: quella della ratificazione istituzionale dell'intervento securitario e spettacolare. Il declino della sociologia, ci venga perdonato il termine generico usato per semplificare il problema, come disciplina cognitiva per i comportamenti delle amministrazioni locali avviene in un processo maturo di immersione delle pratiche istituzionali nella scienza di polizia. E qui non si intende la Polizeiwissenschaft di foucaultiana memoria, la disciplina che si voleva regolatrice della crescita della popolazione nei principati tedeschi di fine '700, ma come l'unica scienza poliziesca politicamente e mediaticamente legittimata: quella che presiede alla crescita dei saperi, delle discipline e delle tecnologie digitali atte a perimetrare in modo securitario i soggetti concreti che corrispondo alla metafora animale rappresentata dai media.

E qui bisogna intendersi: le amministrazioni locali, proprio perchè sganciate dal vincolo di organizzazioni politiche di massa, attraversano sui territori da almeno un ventennio una fase autoreferente. Si servono dei media per l’estrazione di consenso elettorale. Una volta ottenuto questo, autorefenzialità amministrativa e business convergono al riparo da occhi indiscreti e poteri di interdizione. Inoltre le amministrazioni locali, con il ritrarsi dello stato sul territorio, non hanno nè interesse (non girano fondi) nè possibilità di prendersi cura della popolazione istituzionalmente amministrata. Per l’esercizio del governo e del controllo restano quindi i poteri a distanza dei media e quelli diretti dell’intervento di polizia. E' un circuito chiuso, quello tra media e istituzioni territoriali e di polizia, con profonde disfunzioni persino al proprio interno, ma funziona finchè non prevede apertura. E ai media spetta la funzione della rappresentazione generale degli obbiettivi dell’emergenza del controllo e dell’intervento securitario. Tanto più l’obbiettivo è rappresentato in modo grossolano, ferino e bestiale tanto più questo circuito chiuso funziona, perchè riesce nell’emergenza mediale ad attirare consenso e a chiamare a raccolta i poteri securitari territoriali e a delegittimare nella sfera pubblica saperi e poteri che fanno invece della crescita del legame sociale e delle pratiche di inclusione la loro ragione d’essere. Si tratta di una governamentalità territoriale delle risorse di tipo elitario, le cui differenziazione delle sigle politiche nasconde una omogeneità di fatto delle pratiche, la cui gestione securitaria del governo è funzionale all’impedimento alla redistribuzione di risorse, di saperi e di poteri verso il basso.

Si guardi ai cambiamenti d’epoca nella rappresentazione delle pratiche giovanili da parte dei media più importanti: si è passati in non molti anni dalla richiesta di politiche per il settore per combattere l’emarginazione all’egemonia della metafora del “branco” nella rappresentazione della vita dei ceti più giovani. Nella metafora del branco, ossessivamente proposta dai media, vi è una doppia negazione: quella dei diritti della persona, che ridotta ad animale perde sul piano dei media persino status giuridico, e quella della personalità dell’individuo che diviene singolarità esistente solo sul piano dell’aggregazione istintiva e animale. E sono metafore come queste che nutrono il feed-back tra metafora animale dei media, che circola come adrenalina, e reazioni securitarie del ceto politico.

E questo avviene, come di recente sia a Napoli che a Livorno, nella negazione di una vera questione sociale alla radice di certi comportamenti classificati come devianti. Infatti una volta ridotti i comportamenti collettivi, specie giovanili, a branco non c’è più “sociologia” fastidiosa da chiamare in causa, non ci sono più onerosi interventi nel sociale da fare (che tanto disturbano alle politiche di bilancio, altro totem della verticalizzazione della ricchezza) ma interventi securitari da operare per prevenire singolarità animalizzate rappresentate come afflitte dalla “noia” o dall’”istinto di sopraffazione”.

Quando scatta la rappresentazione animale dei comportamenti collettivi, il feed-back tra media e istituzioni funziona e il cerchio si chiude. L’autoreferenza, dispositivo di esclusivo godimento delle risorse da parte delle élites, può per adesso esercitarsi.

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