Riporto qui la trascrizione dell’intervista che oltretutto potete leggere qui e ascoltare qui 🙂
Se poi non siete soddisfatti potete anche leggere un’altra intervista, sempre della stessa sera, fatta da una "collega" di Baz.
Se poi, in uno slancio di rottura di palle al prossimo, siete famelici di altre cose, non posso che rimandarvi al sito di Carmill@ oltre che ….. non mi fate dire parolacce 😀
P.S.: devo dire che il maestro Evangelisti e’ stato decisamente paziente, rischiando di rimanere a piedi per sopportare le mie estenuanti domande….. lo ringrazio pubblicamente. GRAZIE 🙂
D: Perché avete scelto un nome importante come quello di Philip K Dick per editare i vostri racconti, è solo perche piacciono a Sergio Cofferati oppure ci sono delle ragioni letterarie e di contenuto?
R: Cofferati, curiosamente, si ritiene un esperto di Philip Dick. Inoltre ha scritto innumerevoli prefazioni ai suoi romanzi, e questo è il primo motivo. Secondariamente Dick ha descritto, in molti suoi racconti, delle societa che per qualche verso assomigliamo molto ha quelle che ha in mente Cofferati; cioè societa’ autoritarie, demenziali con poteri fini a se stessi. Per tutti questi motivi ritengo il nostro sindaco un personaggio dickiano al 100%.
D:Pensa che le operazioni mediatiche in cui si cimenta Cofferati, mi riferisco alle sue uscite su Repubblica Bologna o alle interviste che rilascia al Resto del Carlino in cui e’ palese una strategia di "caccia all’uomo nero", oppure ai molti servizi che possiamo vedere sui maggiori organi di informazione nazionale e sui telegiornali possano essere affrontati secondo quelli che sono i "paradigmi" della poetica dickiana, nel senso che vanno a creare delle realta’ parallele funzionali a quelle che sono le politiche securitarie che si vogliono mettere in atto?
R: Assolutamente si. Dick ad esempio aveva l’incubo di Nixon. Molte volte si e’ soffermato sulla creazione di forme di autoritarismo non basate solo ed esclusivamente sulla violenza, ma anche basate sulla creazione di consenso attorno al potere. Alla stessa maniera Cofferati sta cercando di conquistare un pubblico di destra per un partito che si vorrebbe di sinistra. In realta e’ evidente come il sindaco si voglia rivolgere alle forze piu conservatrici della citta’, dinamica che e’ visibile non solo nel contesto bolognese, ma anche a livello
nazionale. Per esempio ricordo una puntata della trasmissione di Giuliano Ferrara, in cui il nostro sindaco era ospite, bhe!, non riuscivo piu a comprendere chi dei due fosse di destra e chi invece di sinistra. Tutto cio, secondo me, e’ terribilmente dickiano perchè e come se una realta ne nascondesse un’altra, cioe’ abbiamo una facciata di sinistra che ne nasconde una di destra; è come se fosse il contrario di un cocomero in cui la parte rossa sta di fuori mentre il bianco sta di dentro.
D: In "Noi marziani" Dick affermava che la psicosi fosse l’estrema alienazione dagli oggetti del mondo esterno, come se ci fossero due mondi completamente separati tra loro. Questo si inseriva in una piu ampia considerazione della malattia mentale, vista non come una fuga dalla realta’ ma come una sua restrizione. Pensa che i moderni mezzi di informazione di massa contribuiscano ad una restrizione del reale?
R: Sicuramente. I nostri mezzi di informazione stanno veramente condizionando la mente della gente, sempre che di informazione si tratti, proiettando nel tubo catodico dei telespettatori delle realta assurde. Ultimamente, mi e’ capitato di vedere Ballarò, l’operazione che veniva proposta in quella puntata era di considerare l’anarchico Giuseppe Pinelli e il Commissario Calabresi come due grandi e affezionati amici, poi ad un certo punto si faceva largo l’ipotesi che Pinelli avesse preso il volo da solo, cosi per caso, manco fosse stato un angelo. Tutto cio veniva detto come se fosse la verita’ , senza nessun tipo di contraddittorio, in prima serata e con accenti fortemente emotivi di fronte ad un pubblico sterminato. Ora, capirete che non tutti sono disposti a lasciarsi convincere dalle immagini, tipo le bugie di guerra o cose simili, nonostante tutto la mia personale reazione a queste cose e’ un assoluto senso di spossatezza che mi induce quasi ad una rinuncia a pensare. Con questo voglio dire che a volte, come nei racconti di fantascienza, esiste solo lo schermo, mentre i telespettatori sono spenti, mentre dovrebbe essere il contrario. Questo e’ quello che sempre piu spesso io vedo nella realtà dell’informazione.
R: Esattamente. Il riferimento a quel racconto di dick e’ molto calzante. Per esempio io che vivo da molto a Bologna , non ne ho certamente un legame viscerale, diciamo che ci vivo e la attraverso; dicevo, io che vivo da molto qui, vado molto raramente nel centro cittadino, più che altro preferisco restarmene nel mio quartiere. Ora, mi succede che ogni volta che esco vedo dei dettagli o delle cose che prima non c’erano. Non che questo sia sempre del sbagliato, ma la sensazione prevalente che mi viene è che mi stiano lentamente cambiando la città sotto gli occhi. Effettivamente, se si va a vedere nel complesso, almeno una volta si poteva respirare in questa città,
oggi invece la vedo degenerare di giorno in giorno.
D: In "Ubik" vi sono degli individui che agiscono inconsapevolmente, in un contesto ambientale creato da entità esterne e a loro adattato per ottenere fini prefissati. Ecco, molte volte le "campagne stampa" attivano dei meccanismi del genere, quasi fantascientifici, lei cosa ne pensa in merito?
R: Sicuramente. Quello che avviene e’ la costruzione di una Matrix, cioè di una realtà apparente che ne nasconde un’altra. Quando si esagera cosi tanto nel mostrare episodi delinquenziali, che ci sono sicuramente ma non in queste percentuali, e quando li si amplifica cosi tanto, alla fine sembra quasi di stare vivendo nel terrore.
Chiaramente non e’ cosi, questa e’ una realtà di comodo, ma la gente alla fine si convince e si raffigura attorno questo tipo di cose. Altro esempio che si può fare e’ la minaccia islamica, sicuramente esistente in alcune zone del mondo, ma che in Italia, almeno per ora, ancora non esiste come problema rilevante. Eppure le azioni repressive contro gruppi di presunti integralisti sono fioccate, naturalmente se poi si va a vedere nel particolare quello che e’ successo dopo, si nota che non e’ stato condannato formalmente nessuno per questi tipo di atti, sono semplicemente state espulse delle persone senza alcun tipo di ragione e sulla base di semplici sospetti. Sta di fatto che, leggendo giornali come il Corriere della Sera, attraverso gli articoli di giornalisti come Magdi Allam, che con le paure della gente ci prende lo stipendio, viene descritta un tipo di realtà inesistente.
D: Per tornare alla fantascienza, lei si e’ mai connesso a quello che la fantascienza degli anni ottanta ha chiamato "Metaverso", cioè ha mai giocato ad impersonare un ruolo nei mondi on-line?
R: Gli unici giochi che ho fatto sono stati i giochi di ruolo classici anche detti "GDR". Sono, cioè, dei giochi in cui si impersona effettivamente un personaggio e in cui bisogna realmente recitare. In quel tipo di situazione si entra sicuramente in un altro mondo. Bisogna dire pero che in quel caso si e’ di fronte ad una operazione creativa simile a quella della narrativa. Quando si legge un romanzo si esce dal mondo che si ha attorno per entrare nella storia del romanzo, ma questo uscire non comporta una perdita di identità , semplicemente ci si diverte ad assumerne un’altra. Quello di cui bisogna preoccuparsi, invece, e’ la perdita di identità.
D: Lei ha scritto una prefazione ad un libro intitolato "Domani: di futuri c’è n’è tanti"…
R: Si, era un saggio sulla fantascienza scritto da Daniele Barbieri che è qui in sala oggi
D: In quella prefazione lei affermava che la letteratura fantascientifica non vende più come un tempo, d’altra parte assistiamo a una produzione hollywoodiana che prende sempre più spunto dai romanzi di fantascienza, anche quelli più datati. Mi riferisco a film come "Starship Troopers","PayCheck" o "Il trediciesimo piano". La cosa interessante e’ come i temi fantascientifici si siano radicati nell’immaginario collettivo, tanto che vengono rispolverati ogni volta che c’è una fase di carenza di idee. Da questo punto di vista i cartoni animati giapponesi molte volte utilizzano questi tipo di suggestioni creando delle opere di discreto interesse. Lei ne ha mai visto qualcuno ?
R: Già da giovanissimo vedevo i cartoni, in particolare me ne piaceva uno che si chiamava "Galaxy Express 999", secondo me era stupendo, ma ne ho visti tanti altri. In generale si può dire che la fantascienza ha vinto la sua battaglia, nel senso che e’ diventata societa’. Oggi la possiamo trovare nei videogiochi, nella pubblicità, nei film e nei telefilm e in molti altri ambiti, ma sono soprattutto i telefilm che oggi offrono i prodotti migliori per quanto riguarda le tematiche della fantascienza, mi riferisco in particolare a serie come "Battlestar Galactica" o a "Lost". Quello che mi preoccupa e’ che, mentre in passato la fantascienza scritta era all’avanguardia e gli altri media seguivano, oggi invece molta fantascienza scritta imita i film e i telefilm perdendo quella propositività che aveva una volta. Tutto ciò perché oggi si è perso il gusto dell’alternativa, il gusto di immaginare un futuro diverso da quello odierno. Quando al cinema c’erano i mostri e gli insetti giganti, esisteva già la fantascienza sociologica che proiettava le nostre contraddizioni nel futuro, oggi non e’ più cosi e questo ha fatto perdere dei colpi alla fantascienza scritta. Ma tutto questo dipende dalla società non dalla fantascienza.
D: Molte volte l’immaginazione di un futuro e’ più utile ai "businne plan" aziendali. Per esempio "Second Life" poteva essere benissimo u libro di Sci-Fi , ma in mano ai tecnici informatici è diventata una grossa operazione commerciale. Secondo lei viviamo in un futuro tecnologico che non ci lascia scampo? Oppure viviamo in un mondo in cui tutto è possibile?
R: Questi fenomeni possono ancora essere contrastati. Io so che tutto quello che un tempo su internet era gratuito, adesso e’ a pagamento. Quindi una tendenza alla commercializzazione c’è e si fa sentire. Il problema è, semmai, reagire e soprattutto appropiarsi della comunicazione e dei sistemi pensati da altri per utilizzarli. Internet era, all’origine, una rete militare nata per l’esercito e poi trasformatasi nella piu anarchica delle reti. E’ quindi possibile sconvolgere la funzione delle cose e modificare il futuro. Credo che sia stata una bella operazione collettiva, quello che spero è che non sia l’ultima.
R: Non mi ha sorpreso molto, ho pensato solo povera pecora. Povera a quella nuova, non a quella vecchia. Ero abituato a questo tipo di cose fin dagli anni ’50 . Ecco una caratteristica della fantascienza, di solito non e’ fatta per prevedere le cose, come oggetti futuri, ma per prevedere le tendenze sociali, le comunicazioni entrano in questo campo cosi come gli sviluppi della tecnica e della scienza.
D: In merito a questo discorso di previsione, Fredric Jameson ha scritto un libro intitolato "Archeologies of the Future" (tradotto in italiano col titolo "Un desiderio chiamato utopia") in cui si tracciano dei paralleli tra quella che e’ l’utopia politica e la fantascienza. Secondo lei che spazio può passare tra queste due "narrazioni"?
R: Spesso la fantascienza è stata indirettamente un’utopia politica. In fondo anche gli autori più reazionari proponevano idee tali da spingere qualcuno a pensare che un alternativa ci fosse, poi stava a lui decidere quale alternativa. Questo era un sentimento molto diffuso tra i primi lettori di fantascienza. Oggi tutto ciò è andato perduto. Io ritengo comunque che tutta la fantascienza sia in qualche misura politica e in qualche misura progressista, anche quando non sembra esserlo.
D:L’ultima domanda. Nei romanzi collettivi, il "brainstorming" tra i vari autori produce una molteplicità di visioni che permette un numero di riferimenti e citazioni, la creazione di un mondo, che un autore
solo non potrebbe effettuare; ho in mente in particolare "Matrix" in cui i fratelli Wachowsky hanno coinvolto "mangaka", scrittori ed altri personaggi per dare consistenza ad un universo. Secondo lei è più "produttivo" questo modo di "comporre" o c’è ancora bisogno di un autore unico che tenga le fila di una storia?
R: Il cinema e’ sempre un lavoro collettivo, quindi in quel caso siamo già di fronte a quel metodo di lavorare lì. Per quanto riguarda la narrativa io sono favorevole alle sperimentazioni, anche se ritengo che ci debba essere una parte individuale. Non credo troppo nei libri totalmente collettivi perché quello che si perde e’ l’anima, mentre uno scrittore deve vivere la creazione di una storia come se ne fosse invasato. Certo ci sono delle eccezioni, I Wu-Ming, per esempio, riescono meglio di molti altri a produrre una cosa unica, ma non e’ una cosa che si possa fare sempre. Io molto spesso ho autorizzato gente a scrivere racconti su Eymerich e cose del genere. Mi sono accorto dopo che mancava l’anima del personaggio, semplicemente perché quell’anima ero io.